Wednesday, July 12, 2006

Diari di due donne ebree

Nei tempi oscuri. Diari di Lea Ottolenghi e Emma de Rossi Castelli. Due donne ebree tra il 1943 e il 1945, Belforte&c. Editori, Livorno 2000

Ma la diaristica è letteratura? No, vero? Sì, vero? Va be', non importa.
Fatti veri, storie vere, vicende quotidiane ed ordinarie frammiste a drammi storici e collettivi: questa sovrastruttura è probabilmente ciò che rende tanto appassionante la lettura di due diari, pubblicati per iniziativa del Comune di Livorno, che raccontano le vicissitudini di due donne molto diverse tra loro che attraversano le stesse difficoltà e angosce.

Lea Ottolenghi ha 22 anni quando è costretta a lasciare Livorno e a cercare rifugio in Svizzera; Emma de Rossi Castelli ne ha già 75 quando deve sfollare nelle campagne e spostarsi varie volte per nascondersi alle deportazioni e scampare ai bombardamenti.
I diari di queste due ebree benestanti che, come molti altri, devono scappare e cercare di sopravvivere alle persecuzioni e alla guerra, non sono certo i diari di Paul Valery, letterariamente parlando. Tuttavia la freschezza della quotidianità e dei sentimenti (molte angoscie, qualche motivo di allegria) che trapelano in questi quaderni bastano ed avanzano a renderne la lettura appassionante e partecipe.

La loro situazione non ha ovviamente la drammaticità del campo di sterminio: entrambe (una appunto in un campo di rifugiati in Svizzera, l'altra tra i contadini della campagna livornese) riescono ad evitare il peggio. Eppure è proprio quella normalità violata, quella quotidianità piena di disagi, umiliazioni, preoccupazioni, incertezze che affiora nei loro diari a dare il senso del dramma con estrema veridicità e concretezza.
Sono due donne molto diverse, appunto. Lea è una ragazza giovane, allegra e piena di forza; nel suo diario, accanto ai continui motivi di sconforto e di tristezza, ci sono sempre anche le note allegre, a volte un po' infantili. Anzi, il periodo dalla metà del 1944 fino al ritorno a Firenze e il ritrovamento del fidanzato, è pieno di fatti positivi - nonostante la fame e la mancanza di notizie dai famigliari rimasti in Italia: sono pagine che comunicano la sensazione di come ogni piccola cosa riconquistata sia una festa.
Emma invece è introversa e pessimista, e nel diario dà sfogo soprattutto alla sua preoccupazione per i parenti dispersi e alle riflessioni religiose.
In tutte e due però, fin dall'inizio, è evidente la reazione alle leggi razziali e al loro progressivo indurimento: è una reazione di dolore e quasi incredulità nel vedersi considerate straniere e nemiche in casa propria, nella loro terra - e a dispetto del forte patriottismo che si respirava nelle loro famiglie. "Tutti i giorni - scrive Emma nel 1943 - si scrivono sui giornali articoli velenosi contro gli ebrei, che non possono essere in buona fede e sono una vera infamia.(...)Ho amato l'Italia con tutte le forze dell'animo mio. Nell'altra guerra ho fatto quanto era in me per concorrere in qualche modo alla vittoria delle armi italiane. Ho passato si può dire la vita negli ospedali, ho lavorato per mandare pacchi ai soldati, la sera fino a mezzanotte. (...) Quando poi venne il fascismo a valorizzare la nostra vittoria, allora ho gioito! Povera ingenua, povera illusa! Non sapevo cosa avrebbe portato il fascismo!"

Qualche volta i diari la rimpiazzano, la letteratura - per fortuna non tanto spesso.

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